Fluido ma intenso..

Nel mese di novembre ho avuto il piacere di partecipare ad un seminario tenuto da Stefania Redini. La particolarità di questa insegnante risiede nell’aver abbracciato il metodo Spiraldynamik, oltre ad aver seguito la strada dello Yoga Kashmiro di Eric Baret.

Approfittando della disponibilità in loco ho acquistato il suo ultimo libro ‘PRANAYAMA – Dal respiro nel corpo al corpo nel respiro’. Al suo interno si possono trovare, oltre ai concetti base dello yoga (tra cui lo stesso pranayama), delle visioni più ampie e complesse che sono il frutto del vissuto della scrittrice. La modalità utilizzata per spiegare come poter vivere un determinato momento nell’asana è molto semplice e fluida, ma ciò non toglie che si tratta di un testo che va letto con attenzione per poter metabolizzare le varie sfumature.

Per quanto concerne la vera e propria struttura del libro vi inserisco quanto indicato:

‘…partendo da un livello più fisico, dove si scopre un corpo che respira, si giunge spontaneamente al presentire il corpo nel respiro.

Quattro parti che conterranno rispettivamente:

  1. le basi ed i meccanismi del respiro
  2. l’importanza di una respirazione libera, degli spazi respiratori nel corpo e delle basi del pranayama appresi dal Dr. Swami Gitananda e A.Van Lyesebeth
  3. la visione del pranayama come libertà del corpo da parte di T.K. Shribhashyam (figlio di Krishnamacharya)
  4. la visione del pranayama come libertà dal respiro di Eric Baret

Nella prima parte mi è piaciuto molto il paragrafo dedicato allo sbadiglio nel quale si dice quanto:

lo sbadiglio è una specie di ritorno alla vitalità da parte del nostro essere naturale..

Attraverso di esso c’è una distensione del sistema nervoso ed un riassestamento delle colonna vertebrale, tant’è che consiglia di simularlo negli asana per renderli stabili e comodi. Nel momento in cui lo sbadiglio si manifesta vuol dire che il nostro diaframma è libero di muoversi e la nostra colonna non è irrigidita.

Nella seconda parte ho trovato molto interessanti due esercizi utili alla fortificazione ed all’elasticità del diaframma. Le posizioni da utilizzare fanno parte degli ‘hathenas’, o posizioni specifiche indicate da Gitandanda. Ovviamente dopo averli vissuti io li ho proposti nelle mie classi di yoga e non ho avvertito grandi difficoltà nel percepire la parte che si stava contattando. :o)

Nella terza parte i 16 Punti Vitali di Shribhashyam sono quelli che più di tutto mi hanno arricchito, molto probabilmente perché non ne sapevo l’esistenza ahimè! Secondo la tradizione questi punti sono il collegamento tra il corpo denso (sthula sharira) ed corpo sottile (suksma sharira); il loro compito è quello di gestire le attività emozionali e mentali al fine di proseguire verso la via della consapevolezza.

Nella quarta parte si evocano i concetti base dello Yoga del Kasmir grazie all’insegnamento di Eric Baret. Ho effettuato alcuni seminari con lui e devo dire che è affascinante il concetto di “resettare” la memoria della nostra muscolatura, sinceramente era la prima volta che affrontavo un lavoro così minuzioso.

‘.. passo alla fase della “tattilità interna” che è la base stessa dello yoga del Kasmir: gli yogin di questa regione non approcciano il corpo a partire dai muscoli e dalla percezione muscolare, ma attraverso la tattilità del corpo pranico.

L’accettazione è la base dello yoga per abbattere i muri che ci siamo costruiti intorno. Nello Yoga del Kasmir la possibilità di vivere delle tensioni nel corpo porterà alla liberazione, andando ad osservare la sensazione ed aspettando che passi da sola. Solo in questo modo il nostro corpo, i nostri muscoli e la nostra mente subiranno un “reset” dall’ordinaria visione. Per prendere atto di quando indicato fino ad ora aggiunge:

‘.. si può osservare che la dinamica del respiro si poggia sulla partecipazione di un certo numero di elementi muscolari.. è preferibile iniziare l’esplorazione di un movimento durante il vuoto dopo l’espirazione, perché è un momento in cui la dinamica del respiro è silente..

Porterei l’attenzione in questa parte anche all’importanza che è stata data sulla posizione dei palmi delle mani. Durante la posizione di shavasana sono stata abituata a mantenere i palmi rivolti verso l’alto; negli ultimi tempi, però, avvertivo una sensazione di tensione che andava a contrastare il rilassamento in atto su tutto il resto del corpo. Per assecondare un po’ le esigenze del momento ho constatato che le mani sull’addome potevano essere il giusto compromesso! :o)

Solo dopo aver letto questo paragrafo ho capito dove era il mio grande problema e da quel momento in poi nelle mie classi consiglio di portare i palmi nella posizione che più di adatta per il nostro corpo.

Ne consiglio l’acquisto e vi auguro buona lettura!

Lascia un commento