La Gheranda Samhita

Penso succeda a tutti rispolverare oggetti che hanno cambiato il proprio percorso nella vita.. in questo periodo di intense attività ho sentito la necessità di riavvicinarmi ai concetti base di questa disciplina per ritrovare quella serenità mentale che sento di avere un pò perso. Contrariamente alla visione occidentale ho la certezza che la vita è come una ruota, prima o poi tutto ritorna al punto di partenza! Ad esempio io dopo anni di studio ho accantonato i libri per dedicarmi alla pratica sul corpo, ora sento nuovamente il bisogno di ritornare a meditare su quei concetti che solo i testi classici possono suggerire.

In questo ultimo mese ho ripreso in mano la Gheranda Samhita, versione commentata da Stefano Fossati, casa editrice Magnanelli; in questo articolo vi indico le mie impressioni. Il suddetto testo, seppur contiene dei punti di riferimento con la Hatha Yoga Pradipika, si caratterizza per il maggior numero di tecniche descritte e per l’elaborazione di un metodo ascetico; questo potrebbe indicare che appartiene ad un periodo successivo alla redazione del suddetto.

Nella introduzione di questo libro viene data una panoramica sulla parte filosofica legata alla disciplina dello yoga. L’ho trovata molto scorrevole seppur indicasse dei concetti molto complessi ed ampi, per quello che mi riguarda è stato un grande ripasso di buona parte della filosofia orientale affrontata durante la formazione.

Il termine yoga viene visto come l’unione del Sé individuale (atman) con il Sé universale (Brahman), per uscire dal ciclo delle rinascite e liberarsi. In una accezione più ristretta viene visto come un sistema filosofico costituito dagli Yoga Sutra di Patanjali. La visione del mondo indicata in questo testo è molto simile a quella del Samkhya, il quale esercitò una grande influenza nella cultura indiana.

Secondo il Samkhya all’interno dell’uomo esistono due principi eterni:

  • la natura o prakrti, che genera ogni specie di forma e struttura fisica e psichica
  • le anime o purusha, che costituiscono la pura intelligenza

E’ grazie al purusha che l’essere vivente riferisce allo stesso soggetto l’esperienza fatta, e proprio questo soggetto la coordina attorno ad un nucleo centrale. Quindi, solo in un “punto” vengono immagazzinate tutte le informazioni .. possiamo considerarlo la cassaforte della nostra anima!

La costruzione metafisica di questo sistema filosofico si basa sui guna che sono degli elementi classificati in tre classi:

  • sattva, indica la traslucidità
  • rajas, indica l’energia ed il movimento
  • tamas,indica l’inerzia e l’opacità

Quando uno dei tre elementi diventa più preponderante rispetto agli altri si rompe l’equilibrio e nasce la prima categoria della creazione, la mahat. In questa categoria prevale sattva; inoltre, in essa sono contenuti tutti i successivi sviluppi del cosmo: le menti individuali e l’oggettività materiale. Al mahat appartengono sia i fondamenti della coscienza ordinaria sia il dinamismo che regolerà l’esistenza, ovvero il prana.

Con il prevalere di rajas si ha la nascita della secondo principio, ahamkara, la soggettività. La parte attiva di questa categoria è l’autocoscienza, il purusha; l’anima assume la struttura dell’intelletto e l’intelletto ascrive a sè l’intelligenza che l’anima gli cede. Il purusha si lega al soggetto e lo segue di rinascita in rinascita. In questo livello nascono i tanmatra, suono – contatto – forma – sapore – odore, che si dice “costituiscono il presupposto dell’oggettività concreta” perché formano i cinque elementi grossi (etere, acqua, fuoco, terra ed aria).

L’evoluzione di ahamkara corrisponde ad una elaborazione delle sensazioni in concetti, da qui la formazione dei dieci principi, gli indriya, o funzioni sensorie:

  • buddhindriya, costituiscono le funzioni di percezione (udire, vedere, toccare, odorare e gustare)
  • karmendriya, costituiscono le funzioni di azione (parlare, afferrare, camminare,evacuare e generare)

Gli indriya devono essere visti come il supporto agli organi corporei e come forza al senso dell’Io.

Oltre questo livello non ci sono altre evoluzioni dei guna, pertanto non ci sono altre categorie supplementari a quelle descritte fino ad ora.

Secondo Patanjali lo stato di sofferenza avviene nel momento in cui il purusha si separa dalla mente. L’unico modo per purificare la mente da questa alterità è cessare le sue attività, negli Yoga Sutra a tal proposito si parla spesso di arrestare le citta vrtti. Attraverso la pratica costante si cerca di distruggere i condizionamenti inconsci, che rendono l’uomo schiavo di se stesso, per ristabilire una unificazione tra mente e corpo. L’ashtanga yoga, o Yoga degli otto membri, prevede otto stadi (esterni ed interni) da superare per raggiungere la liberazione.

  1. yama: non recare danno agli altri, cedere all’avidità
  2. niyama: devozione, studio, purezza del corpo e della mente
  3. asana: posizioni della mente per aumentare la concentrazione
  4. pranayama: controllo del soffio vitale per controllare i propri stati psichici
  5. pratyahara: ritrazione delle funzioni sensorie, indriya, fissando un particolare oggetto
  6. dharana: concentrazione su un oggetto determinato per immobilizzare la mente e disattivarla
  7. dhyana: meditazione su un oggetto determinato senza alcuno sforzo. questo stato può essere interpretato come una evoluzione del punto 6.
  8. samadhi: identificazione tra soggetto ed oggetto. Il purusha si riflette sull’intelletto e rientra nella prakrti.

A differenza di Patanjali, il tantrismo propone una via mistica come mezzo per ottenere la liberazione. Secondo questa corrente filosofica e religiosa la prakrti, o natura, finisce per coincidere con l’attività dell’Energia divina o Shakti. Il senso di pienezza del Brahman porta alla beatitudine poiché fa abbandonare la voglia di proiettarsi verso l’esterno per sentirsi completi. La Shakti è la prima manifestazione cosmica e la kundalini è la forma in cui essa è presente in ogni essere umano. Attraverso il sadhana, prassi ascetica, si punta a risvegliare la kundalini per progredire spiritualmente; bisogna essere preparati a questo aspetto altrimenti gli effetti saranno nocivi. Per rendere il percorso efficace e duraturo la Gheranda Samhita fissa degli stadi finalizzati all’acquisizione di un livello spirituale:

  1. Satkarman: purificazione attraverso lavaggi interni per purificare il corpo
  2. Asana: posture del corpo
  3. Mudra: sigilli attraverso posizioni del corpo e contrazioni muscolari che sigillano il prana nel corpo
  4. Pratyahara: attraverso la ritrazione dei sensi si avvia il lavoro sul piano sottile
  5. Pranayama: controllo del soffio vitale
  6. Dhyana: meditazione
  7. Samadhi: enstasi

Il dialogo sullo yoga tra Gheranda e Canda ha inizio nel primo capitolo dove viene messo l’accento sulla pratica degli satkarman: “Pratica delle sei azioni (purificazioni)”.

Qui si parla della quadruplice dhauti o vastra-dhauti, di seguito le indico brevemente:

  • ANTAR DHAUTI (pulizia interna)
    • Vata-sara: con l’uso dell’aria
    • Vari-sara: con l’uso di acqua
    • Vahni-sara o Agni-sari: con l’uso di calore
    • Bahiskrta: esterna
  • DANTA DHAUTI (pulizia dei denti)
    • Danta-mula: pulizia della base dei denti
    • Jihva-dhauti: pulizia della lingua
    • Karna-randhra: pulizia delle aperture auricolari
    • Kapala-randhra: pulizia dei seni frontali
  • HRD DHAUTI (pulizia del torace)
  • MULA SODHANA (pulizia del retto)

In questo testo il kapalabhati è visto in tre modi anziché uno simile a bhastrika. Le modalità sono le seguenti:

  • Vata krama: esecuzione con l’ausilio dell’aria
  • Vyut krama: esecuzione in modo inverso
  • Sit krama: esecuzione per mezzo della suzione

Nel secondo capitolo si parla delle asana, da qui il titolo: “Pratica delle posture”. Per alcune di esse esiste qualche differenza di nome e/o assunzione rispetto alla Hatha Yoga Pradipika ma gli effetti sono gli stessi.

Il terzo capitolo è dedicato ai sigilli: “Pratica delle mudra”.

Il quarto capitolo parla della possibilità di porre la mente sotto il controllo del Sè per non formare nuovo karman: “Pratica del Pratyahara”.

Il quinto capitolo è dedicato al controllo del soffio vitale: “Pratica del Pranayama”. Viene indicato:

  • il periodo in cui poter praticare, secondo il clima tropicale
  • la dieta da seguire
  • le tecniche del pranayama tra cui gli otto kumbhaka
    • Sahita = accompagnato
    • Surya-Bheda = apertura del sole
    • Ujjayi = colui che dà vittoria
    • Sitali = rinfrescante
    • Bhastrika = mantice
    • Bhramani = ape
    • Muccha = deliquio
    • Kevali = isolato

Viene data molta importanza alle varietà di kumbhaka poiché la Gheranda Samhita lo vede come la parte più importante del pranayama.

Nel sesto capitolo si parla del passo successivo al pranayama, secondo quanto indicato da questo testo: “Yoga della meditazione”. Vengono indicate tre tipologie di dhyana:

  1. Sthula dhyana = meditazione concreta, attraverso una immagine
  2. Jyotir dhyana = meditazione luminosa, attraverso una fiamma
  3. Suksma dhyana= meditazione sottile, unione tra Shiva e la sua Energia

Il settimo capitolo è dedicato al samadhi, come modo di essere e non solo come esperienza, è intitolato “Yoga del Samadhi”. Lo yogin che mantiene la mente limpida e ha fiducia nella sapienza, nel proprio guru e nel proprio Sé giunge ad una pratica fulgida. Anche in questo caso vengono distinte varie tipologie per mezzo di sambhavi, bhramari, khecari e yoni mudra:

  1. Nadayoga = enstasi del suono eterno (suono di bhramari)
  2. Rasanandayoga = enstasi della beatitudine dell’ambrosia (khecari mudra)
  3. Lahasiddhiyoga = enstasi del compimento della dissoluzione
  4. Bhaktiyoga = enstasi della beatitudine (Dio personale come riferimento)
  5. Manomurccha = enstasi del deliquio (murccha kumbhaka per l’unione tra manas ed atman)

 

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