Quinto giorno con Patanjali

In questi sutra si affronterà il discorso della pratica e del distacco per evolvere nel nostro percorso yogico.

SAMADHI PADA – SUTRA 12,13,14,15,16

”Abhyasa vairagyabhyam tan nirodah” – La soppressione delle fluttuazioni mentali si ottiene attraverso l’esercizio costante e il non attaccamento. Patanjali ci illustra le modalità per arrestare le fluttuazioni mentali. Due aspetti di grande importanza nella pratica dello yoga:

  • ABHYASA,  identifica il lavoro costante su se stessi senza ripetizione. Lavorare con interesse e gioia per creare calore.
  • VAIRAGYA, identifica il non attaccamento a quello che viene effettuato. Lavorare senza dover perseguire un risultato che aumenti la nostra autostima, lasciare andare i frutti del nostro lavoro per diventare liberi e sentirsi completi.

Questi due termini verranno affrontati anche nei vari sutra, proprio per rendere chiaro il loro significato ed avvalorare la loro importanza.

TATRA STHITALI YATNO’BHYASAH” – Abhyasa è lo sforzo di essere nello stato dove le fluttuazioni si arrestano

Abhyasa è l’esercizio costante eseguito con passione per uscire dagli schemi mentali individuali. Praticare per stabilizzarsi in se stessi e iniziare il percorso di scoperta della parte più nascosta. Ripetendo come indicato fino ad ora si ha lo stato di citta vrtti nirodah, il senso di incompletezza svanisce e anche il senso di desiderioper renderci felici viene meno. In questo modo costruiamo le basi per vairagya.

SA TU DIRGHA-KALA-NAIRANTARYA-SATKARASE VITO DRDHA-BHUMIH” – Abhyasa si stabilizza quando si pratica costantemente, senza interruzione e con devozione

La pratica per divenire un sentiero di scoperta deve essere:

  • perseguita per lungo tempo
  • non deve essere interrotta
  • deve essere seguita con devozione e reverenza

Patanjali ci indica otto tipi di pratiche con il suo ashtanga yog, al fine di portare lo yogi ad uno stato di benessere. Tutti i passi che ci indica sono da affiancare ai tre punti appena elencati, una pratica sterile non avrà durata e non sarà fonte di conoscenza della parte più nascosta di noi. Attraverso la pratica duratura c’è l’evoluzione mentale oltre che fisica. La capacità e la possibilità di allontanare gli schemi, che oramai si sono radicati nel singolo individuo, può manifestarsi soltanto attraverso un cambiamento di rotta radicale rispetto alle nostre abitudini. Con la pratica si andrà a cambiare anche la visione della quotidianità fuori dal tappetino… lì ci sarà la grande evoluzione! Interrompere questa routine vuol dire ritornare sui vecchi passi, inevitabilmente la visione più radicata e “avvelenata” riemergerà prima di quanto possiamo pensare e senza accorgercene. Nel momento del cambiamento si diventa devoti alla pratica ed a quello che si va a fare, il tempo proposto allo yoga sarà fruttuoso perché ci sarà la voglia e la gioia di proseguire nell’evoluzione.

DRSTANUSRAVIKA-VISAYA-VITRSNASYA VASIKARA-SAMJNA VAIRAGYAM” – Vairagya è il non attaccamento, colui che ha cessato di aver sete ha la padronanza dei desideri

Vairagya è il secondo mezzo per raggiungere lo stato di citta vrtti nirodah, deriva da raga che identifica attrazione in un oggetto per avere piacere. Con vairagya c’è un distacco dagli oggetti per via della qualità della mente, il desidero che ha spinto l’individuo ad iniziare il cammino si trasforma in volontà. Svanisce l’attaccamento e subentra il concetto di arricchimento senza dipendenza. Come possiamo vedere, quindi, non c’è indifferenza nei confronti della vita degli oggetti bensì c’è la necessità di gustare un istante un incontro, un oggetto senza diventarne succubi per via del desiderio di possesso. Solo attraverso la pratica costante si può far nascere il non attaccamento, ambedue portano lo yogi allo stato di citta vrtti nirodah.

TAT PARAM PURUSA-KHYATER GUNAVAITRSNYAM” – Dalla conoscenza dell’io nasce la libertà rispetto al minimo desiderio dei guna

La rinuncia e la discriminazione si rafforzano reciprocamente attraverso la pratica, si procede ad una distrazione degli attaccamenti avvicinandoci al kaivalya. Il purusha non è più aggiogato dai guna ma agisce liberamente, la pratica sarà e dovrà essere sempre oggetto dello yogi per tenere questo equilibrio. La lucidità nel vedere le cose dovrà essere presente, al fine di non accrescere l’ego attraverso quello che facciamo.

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