Una fotografia del presente

Ho finito ora di leggere in modo più approfondito il libro di Vimala Thakar, “Lo YOGA oltre la MEDITAZIONE sugli Yoga Sutra”, il cui acquisto risale al periodo della mia tesi.

Sto attraversando un periodo in cui ho l’esigenza di incontrare i concetti cardine di questa disciplina, guardando oltre l’analisi specifica sugli asana.

Vorrei condividere le mie considerazioni qui anche per lasciare traccia di quanto mi ha colpito in questo periodo di questo libro, sono certa che in un periodo diverso la sua lettura sarebbe diversa ed anche i concetti potrebbero essere appresi in modo diverso…

Il libro è formato da 18 capitoli e l’impronta che viene data a ciascuno di loro è pressoché discorsiva; questa è una caratteristica di V.T. che mi fa impazzire perché non imposta il tutto in modo accademico bensì come una chiacchierata davanti ad una tazza di thé!

Il concetto di sutra è quello di un filo che tiene unite le varie parti; con questi scritti partecipiamo a questo fenomeno di giunzione tra un concetto ed un altro.

Il concetto di citta vrtti nirodhah (I.2) è di fondamentale importanza per far emergere la vera essenza dello yoga, oltre a tutta l’analisi fatta da Patanjali relativamente alle problematiche che l’essere umano incontra nella sua vita. Lo scopo degli Yoga Sutra è proprio quello di preoccuparsi del rapporto che c’è tra l’uomo e la sua capacità di percepire il mondo, solo intraprendendo una visione yogica è possibile diventare parte integrante di questo ultimo. Per creare una relazione sana con l’esterno c’è necessità di lavorare su se stessi al fine di relazionarsi in modo corretto, da qui P. introduce il concetto di yama (II.30) e niyama (II.32).

Con yama apprendiamo le leggi della vita e ci unifichiamo alla divinità che risiede in noi:

  1. Ahimsa, o non violenza, è la madre di tutto ed il concetto dal quale tutto scaturisce. V.T. lo intepreta come la violenza che facciamo a noi stessi vedendoci in un modo diverso dalla realtà. Quindi ogni volta che ci si dimentica del proprio essere si crea violenza a noi stessi e questo problema può essere risolto soltanto con la consapevolezza.
  2. Satya si riferisce al rapporto tra essere umano e mondo circostante. Una visione errata produce un eccesso di ego e di senso di attaccamento che non ci fanno liberare dalla sofferenza.
  3. Asteya si riferisce al rapporto tra essere umano e cosmo. Il non rubare che viene comunemente associato a questo yama ma riguarda il non rubare se stessi al cosmo, il quale permettere la liberazione con l’unificazione del tutto.
  4. Brahmacarya significa colui che vive nella consapevolezza dell’unità della vita.
  5. Aparigraha si riferisce alla capacità di non lasciare nessun residuo della memoria nel subconscio. Il tutto volto a non far rivivere il passato nel presente e per dare la possibilità all’individuo di vedersi sempre nel modo reale, affine al momento che si sta vivendo.

 Con il sutra relativo a niyama  apprendiamo che attraverso sauca abbiamo uno stato di purezza fisico che viene acquisito tramite asana e pranayama. Il kriya yoga, o yoga dell’azione, con le sue tre modalità (tapas, svadhyaya, pranidhana) contribuisce alla purificazione facendo emergere con il movimento un equilibrio psico-fisico; il meccanismo dei movimenti fisici effettuati in funzione del respiro aiuta il praticante a staccare la mente agganciandola al presente. L’ appagamento connesso al pratyahara, con una concentrazione a livello mentale priva di fluttuazioni, vrtti, l’abbiamo con samtosha. Lo stimolto nel progredire ci viene dato da tapas attraverso il quale è possibile raggiungere una purificazione della percezione e del corpo. Attraverso la pratica costante, abhyasa, l’individuo abbandona il desiderio di raggiungere il risultato, vairagya, e gode solo del frutto della pratica stessa. Procedendo con questa voglia di scoprire cresce la consapevolezza a livello fisico, come primo gradino, per poi progredire anche a livello mentale. E proprio svadhyaya è legato alla capacità di conoscersi attraverso lo studio di sé, non trascurando il supporto dei testi classici che è di fondamentale importanza. Con pranidhana acquisiamo una dimensione nella quale il divino che risiede in noi emerge e tutto è unificato. Pertanto la libertà è riconducibile alla purificazione delle percezioni, ‘colui che vede’ e ‘ciò che è visto’ si fondono dando vita all’energia della pura visione o darshana. Lo stato di stabilità, viveka, è possibile soltanto quando citta vrtti nirodhah si manifesta e tutti i legami col passato e le identificazioni tacciono. Sono sette le fasi nelle quali questa ultima si manifesta: da viveka scaturisce il desiderio di buon auspicio, subha, che porta l’individuo a voler scoprire ed imparare generando vicarana. Dobbiamo considerare che in questo stadio è già presente una maturità a livello psico-fisico che ci permette di vivere la verità, tanumanasa, tramite quanto detto fin ad ora. In questa condizione, nella quale è assente lo stato di inerzia, ha luogo sattvapatti ovvero l’incontro globale con la nostra essenza. Quando corpo e mente sono coinvolti subentra asamasakti, l’attaccamento all’essenza del nostro essere, la quale se è priva di sforzo sfocia in padarthabhavana. Qui il mondo esterno è completamente annullato ed il corpo non viene visto come materia, esiste soltanto la percezione dell’energia, citi sakti.

Quanto suddetto fa riferimento ad una delle più rosee condizioni nelle quali il praticante riesce ad effettuare in modo lineare e straordinario il suo percorso, ma P. nei suoi sutra tiene in considerazione anche coloro che alimentano la morsa della sofferenza nella quotidianità. Non a caso nel primo pada vengono presi in considerazione i cinque klesha, o elementi della sofferenza.

  1. Avidya è l’incapacità di percepire il testimone che abita in noi, non riconoscere la pura energia.
  2. Asmita è identificazione con l’io limitato agli stereotipi che ci trasciniamo dietro.
  3. Raga è la necessità di ripetere una sensazione di piacere attraverso l’attaccamento agli oggetti, alle persone o alle ideologie. Viene visto come il frutto del precedente perché l’individuo si realizza in base a quanto possiede e non in base a chi è.
  4. Dvesha è il rifiuto legato alla sofferenza o alle situazioni spiacevoli.
  5. Abhinivesha è l’attaccamento alla vita terrena.

L’importanza dell’asana sta nella purificazione del corpo fisico a livello muscolare e ghiandolare, mentre con il pranayama si va a purificare la parte più sottile dell’essere umano. La pratica costante è necessaria per arricchire la consapevolezza del proprio essere andando a sospendere le fluttuazioni mentali ed avviando un percorso di arricchimento interiore. Il pratyahara è proprio lo stato di concentrazione che si ottiene quando si gode della pratica, i testi classici propongono vari modi per arrivare a questo stato in modo da avvicinarsi il più possibile alle varie tipologie di praticanti.

Con dharana abbiamo il passaggio da una pratica prettamente fisica ad una di tipo mentale. Attraverso delle pratiche specifiche la mente, e la sua energia, vengono portate in un’unica direzione. Il risultato che ne emerge è che citta viene trattenuta dallo spazio interno ed esterno, la sensazione di vuoto che ne deriva porta il praticante al benessere ed alla pace. Qualora questa sensazione perdurasse nel tempo si trasformerebbe in dhyana, a tal proposito a pagina 110 Vimala cita quanto:

“Oltre la meditazione, dhyana, si ha la dissoluzione della mente che era stata purificata per mezzo del kriya yoga e del darsana yoga, si ha l’annientamento di quella mente che non ha estensione come si dice in matematica.”

Quando si annulla il concetto dell’io sono, e le qualità di dharana e dhyana si fondono, si manifesta lo stato di samadhi; il triplice potere delle suddette è chiamato samyama.

Vorrei chiudere questo articolo riportando l’attenzione sul concetto di liberazione, o kaivalya.

Molte volte confrontandomi con le persone ho avuto la sensazione che lo studio dei testi classici, per alcuni di loro, dovesse portare obbligatoriamente ad una svolta nella propria vita. Quando ho letto questa frase “la libertà deve essere svelata, riscoperta e non ottenuta, acquisita..” è come se avessi trascinato su un foglio di carta il mio pensiero. Dalla mia esperienza personale ho notato che è molto complesso raggiungere un traguardo, alcune volte torniamo indietro quando lo raggiungiamo perché qualcosa è come se ci fosse sfuggita… ma non dobbiamo prendere questo atteggiamento come un fallimento. Ad ogni caduta ci alzeremo sempre più forti se lasciamo la nostra mente libera dagli avvenimenti passati e dai comportamenti “imposti” dal nostro posto di appartenenza.  Vi consiglio di acquistare il libro e di leggerlo… ILLUMINANTE! :o)

Una risposta a “Una fotografia del presente”

  1. La descrizione di alcuni stati d’animo e di pensiero nel tuo articolo danno una soluzione positiva applicata nei problemi e ansie della vita quotidiana brava e grazie

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